Il teatro di cittadinanza di Mattia Berto

Mattia Berto
In un tardo pomeriggio autunnale bagnato di pioggia, mentre cammino in Strada Nuova vengo attratta da un piccolo crocchio davanti allo storico negozio di tessuti Benevento. Nelle vetrine alcune persone si muovono al ritmo di una musica che sentono attraverso delle cuffie. Non sono dei professionisti; sono uomini e donne, giovani e meno; corpi diversi tra loro che ballano in solitudine, eppure esposti agli sguardi degli altri, suscitando, almeno in me, un vago sentimento da voyeur.
Quando entro, vengo quasi investita da una torma di ragazzine con la macchina fotografica che mi paparazzano, atteggiandosi, però, come se le dive fossero loro.
Mi sento confusa: sono la guardona o la preda?
Le protagoniste sono loro o sono io?
In quel momento arriva un personaggio con un megafono che si spaccia per l’imbonitore dello spettacolo dal titolo Corpi in saldo. Si tratta di Mattia Berto, giovane attore e regista veneziano, autore, insieme alla fotografa Giorgia Chinellato di una serie di performance ambientate nelle botteghe storiche della città, accolte con grande favore dai veneziani.
- Corpi in saldo
Il progetto Teatro in bottega, racconta Mattia, nasce come reazione allo spopolamento del centro storico, alla chiusura dei negozi tradizionali, luoghi dalla storia quasi millenaria che hanno sempre favorito gli incontri tra le persone. “Sento molto questo periodo di crisi del pensiero e dell’economia che però cerco di elaborare in modo positivo. Il mio “teatro in bottega” è come un campanello d’allarme che avverte della scomparsa di luoghi di aggregazione sociale. A me piace mettere attenzione sui luoghi del fare, che sono anche i luoghi dove le persone s’incontrano, costruiscono relazioni.”

Giorgia Chinellato e Mattia Berto
I giardini di Venezia: orti urbani e giardini di palazzo – Die Gärten von Venedig

L’orto del convento francescano del Redentore, sull’isola della Giudecca. Foto Norbert Heyl, www.norbertheyl.com
Finalmente lo scorso ottobre è uscito il libro sui giardini di Venezia (Die Gärten von Venedig,
pubblicato in Germania da Herbig Verlag) a cui ho lavorato per oltre un anno insieme al fotografo Norbert Heyl, mio compagno di viaggio in molte avventure editoriali.
Se si contano anche le aiole coltivate, a Venezia ci sono circa cinquecento spazi verdi. Accanto ai giardini di alcuni alberghi e di istituzioni culturali come le fondazioni Cini, Querini Stampalia o Guggenheim dove intervengono paesaggisti, architetti ed artisti, ci sono centinaia di veneziani che con amore e pervicacia si prendono cura di balconi e terrazze, aiole pubbliche e corti nascoste. La loro tenacia si manifesta prima di tutto nel combattere il clima, specie l’umidità estiva che soffoca i giardini, quasi tutti circondati da mura di mattoni secondo un’antica tradizione mediterranea. C’è poi la questione dell’acqua alta e quando si può, si cerca di rialzare il terreno.
Il trasporto in barca di piante, vasi e terra è più costoso che in una città di terraferma. E a volte capita che i vostri vasi fioriti davanti alla porta diano fastidio a un vicino, e che questi chiami i vigili urbani che a loro volta vi fanno una multa salata.
Nonostante tutte queste difficoltà molti veneziani continuano imperterriti a dedicarsi al verde.
Damien Hirst a Venezia

Lion Women of Asit Mayor, Punta della Dogana
Dopo dieci anni dall’ultima mostra Damien Hirst torna con una serie di nuove opere nei prestigiosi spazi della Fondazione Pinault a Punta delle Dogana e Palazzo Grassi.
Dall’inaugurazione dello scorso 9 aprile sono già stati pubblicati decine di articoli su quotidiani e riviste internazionali, un primo risultato di questa esposizione roboante e imperdibile.
Già le dimensioni coraggiose di alcuni pezzi trascinano il visitatore in un ambiente spettacolare, rafforzato dall’uso di materiali preziosi, dai metalli come oro e argento, alle pietre, rubini, smeraldi, perle, alle pietre, graniti, malachite, agata bianca, giada, marmo di Carrara.

Hathor, Palazzo Grassi
A legare insieme con un filo narrativo gli strabilianti oggetti ci sarebbe una leggenda: il naufragio nel I o II secolo di una nave, il cui nome era Apistos (Incredibile), carica di tesori e appartenente a un liberto, tale Amostan, che viene ritrovata nel 2008. Il recupero dell’antica collezione è documentato da diverse fotografie e video subacquei.
Venezia città della Riforma protestante

Ritratto di Martin Lutero a Palazzo Pisani, ora Conservatorio Marcello.
In occasione del Giubileo luterano Venezia è stata dichiarata Città della Riforma protestante.
Sono passati cinquecento anni dal coraggioso atto di Martin Lutero, che nel 1517 rese pubbliche 95 tesi a contestare la validità delle indulgenze per la remissione dei peccati che la Chiesa di Roma vendeva con profitto a un’umanità ansiosa di riparare in modo veloce ai torti commessi. Un mercato di cui lo spendaccione Leone X aveva un gran bisogno sia per la sua onerosa vita privata che per restaurare San Pietro.
Colpa e urgenza di redenzione, sperperi e lodi a Dio s’intrecciavano nel quotidiano degli uomini del Rinascimento.
Le tesi di Lutero non erano ancora una protesta contro l’intera Chiesa di Roma, tanto meno una scissione ma una dura provocazione che il Vaticano non poteva ignorare.
Solo qualche anno dopo, le inconciliabili posizioni tra la Chiesa di Roma e i Riformatori sancirono la divisione dell’unità cristiana e condussero a sciagure che durarono centinaia di anni prima di raggiungere l’attuale rapporto di rispetto reciproco.
Che ha a che fare tutto questo con Venezia e perché le è stato conferito il titolo di Citta della Riforma insieme a Vienna, Tallinn, Ginevra, Berlino, Praga e Strasburgo?
C’è stato un momento, nella prima metà del Cinquecento, in cui molti riformatori confidavano che la Repubblica potesse concedere libertà di fede. Erano speranze audaci e troppo in anticipo sui tempi.
La Serenissima era sì una repubblica anticlericale e convinta assertrice del proprio giurisdizionalismo, soprattutto per salvaguardare i suoi traffici internazionali, ma era, senza dubbio, una Repubblica cattolicissima, che combatteva in prima linea contro l’Impero ottomano e si considerava baluardo della Cristianità.
Sigmar Polke a Palazzo Grassi
Sigmar Polke, Indigo, 1986
Dopo le due grandi retrospettive, quella del 2013 a Grenoble e quella del 2014-15 organizzata in collaborazione dalla Tate di Londra, dal Moma di NY e dal Ludwig Museum di Colonia, anche a Venezia è finalmente possibile scoprire l’opera di Sigmar Polke (1941-2010) uno dei maggiori artisti tedeschi del dopoguerra.
La fondazione Pinault presenta una ricca mostra monografica con novanta opere che attraversano interamente l’attività pittorica dell’artista e che mette in evidenza, in particolare, la potenza del suo colore e un interesse costante per la storia e per la società contemporanea.
L’albero della vita di Céleste Boursier-Mougenot
La Francia è in guerra. E noi con lei.
Naturalmente scrivo ancora sconvolta dall’attentato del 13 novembre al Bataclan e mi chiedo che tipo di guerra possa essere questa dove i protagonisti sono degli adolescenti istruiti all’indifferenza del dolore quello degli altri e il proprio e deresponsabilizzati dal dover riflettere su cosa sia la morte. Non so quali possano essere i nostri parametri per portare avanti una guerra contro famiglie disposte a imbottire i loro bambini di esplosivo e farli saltare nei mercati.
Alla logica e al linguaggio della guerra e della morte, io oppongo qui il linguaggio dell’arte, e proprio quello di Céleste Boursier-Mougenot al padiglione francese della Biennale
Nel piccolo piazzale tra i padiglioni di Francia, Gran Bretagna e Germania ci sono due alberi che camminano. Quando lo si nota, è impossibile non avere un momento di meraviglia infantile, l’immagine degli alberi di Tolkien e delle mille favole dove la natura entra magicamente in dialogo con i protagonisti.
Dietro alla magia c’è naturalmente un congegno tecnologico.
Biennale: il mondo allo specchio nell’età dell’ansia di Enwezor.
Nonostante la Biennale di Okwui Enwezor non sia certo facile, l’ultima settimana è affollatissima, con migliaia di visitatori in coda e a ben ragione.
Non è una mostra da perdere.
Dimenticate il rapimento estatico dell’arte, la sua potenzialità riparatrice o la possibilità di fuga dal male del mondo. E’ invece proprio al centro dei mali del mondo che Enwezor ha voluto portarci, scegliendo opere che parlano di diritti negati, di guerre, della disperazione dei migranti, di politiche predatorie, di razzismo. Nelle sale, opera dopo opera si viene rimbalzati da un dramma all’altro, in un percorso che obbliga anche i più renitenti ad una presa di coscienza dei problemi che affliggono la nostra società.
Già davanti all’ingresso del padiglione centrale ai Giardini, le bandiere nere di Oscar Murillo, cortine che si devono necessariamente oltrepassare, segnalano che si sta per entrare in un territorio pericoloso, senza più confini certi, né luoghi in cui poter trovare rifugio.
Visioni a corto raggio: Venezia e il turismo di massa.

Foto da: Gruppo25aprile.org
Negli ultimi mesi le discussioni sul turismo a Venezia sono un continuo ripetersi di luoghi comuni e purtroppo veri.
Ventisette milioni (stimati) di turisti all’anno sono causa di tensioni e di problemi che una piccola comunità come quella veneziana (55.000 residenti) fa fatica ad affrontare.
I vaporetti sono strapieni e i tempi di percorrenza lunghissimi perché ad ogni fermata decine di persone entrano ed escono senza sapere bene come muoversi, spesso restando fermi nel mezzo e bloccando gli altri utenti che vorrebbero salire.
La città è sporca; mucchi di immondizie abbandonati di giorno e di notte attirano ratti sempre più grandi e più temerari; le calli sono ricoperte da migliaia di cicche di sigarette gettate a terra come se la città fosse un immenso posacenere.
Si cammina tra masse di turisti spesso frastornati che si fermano in mezzo alle calli e sui ponti, dimenticando che questi non sono percorsi da luna park ma luoghi di passaggio. Dimenticando che a Venezia esiste una comunità che vive, lavora, ha appuntamenti, scadenze e impegni da rispettare come nelle altre città.
Venditori abusivi di borse, di rose, di copriscarpe da pioggia, di ombrelli, di grano (nonostante sia proibito dar da mangiare ai colombi) si moltiplicano, specie nelle zone più centrali, soffocando ancora di più gli spazi già ridotti.
Guide turistiche improvvisate, che non hanno familiarità con la città, bloccano con supponenza i passaggi.
E poi ancora: motoscafisti abusivi senza assicurazione, bed & breakfast non dichiarati, intrattenitori di ogni genere pronti a vendere anche l’anima di Venezia, che portano i turisti negli ultimi luoghi di rifugio dei residenti: una corte fuori mano, un angolo dove i bambini giocano tranquilli. Ci si può scordare le panchine nei campi dove una volta facevamo quattro chiacchiere; ormai sono occupate da turisti esausti cui hanno detto che a Venezia bisogna perdersi per divertirsi. A Venezia, a quanto pare, si viene per divertirsi come se si fosse, appunto, in un grande luna park.