Le utopie veneziane di Philippe Calandre
La fondazione di Jean Michel Wilmotte a Cannaregio ospita fino al 15 febbraio una serie di opere di Philippe Calandre dedicate a Venezia e intitolata ‘Isola Nova’.
Calandre, nato ad Avignone nel 1964, lavora in particolare sulle fotografie di architetture che trasforma, per mezzo di fotomontaggi, in nuove possibilità urbane, spesso con effetti visionari ed onirici.
Le sedici opere veneziane, tutte recanti il titolo ‘Utopia’, combinano elementi dell’architettura più nobile della città con edifici industriali della Giudecca e di Marghera. Chiese, palazzi, campanili e capannoni convivono su isole di insufficiente dimensioni per accoglierli, occupando tutto lo spazio disponibile ed estendendosi fino ai margini, facendosi lambire dall’acqua; l’insieme però va oltre il segno architettonico di ciascun edificio. Se queste isole, oasi architettoniche tra acqua e cielo, da un lato ricordano la mitica Avalon, l’isola britannica inaccessibile agli uomini e che solo qualcuno può, talvolta, intravvedere, dall’altro esse sembrano essere specchi della stessa Venezia.
Se l’architettura è la materia della storia, cioè l’elemento più immediato attraverso il quale percepiamo e conosciamo il passato, la compresenza di edifici di diverse epoche – quindi la compresenza di diversi momenti storici – è la forma urbana propria di Venezia, e lo è da molti secoli.
Il viaggiatore del Cinquecento poteva ammirare il modernissimo Palladio a San Giorgio di fronte all’antica facciata trecentesca di Palazzo Ducale. Oggi, attraversando il ponte da Sacca Fisola alla Giudecca, da un lato si vede il complesso di Gino Valle, dall’altro la mole ottocentesca dello Stucky. Ma se si sposta ancora lo sguardo al di là del Canale si coglie la settecentesca chiesa dei Gesuati.
Venezia è un’isola dove si affastellano e si sovrappongono frontoni rinascimentali, guglie gotiche, archi bizantini, cupole barocche e neoclassiche, e, sfortunatamente, poca recente e decente architettura. E’ come se Venezia fosse la realizzazione concreta delle utopie di Calandre.
Ma un ideale non può mai essere raggiunto perfettamente e l’equilibrio ambientale, sociale e politico di Venezia è talmente precario e delicato che basterebbe un vento di Scirocco più forte del solito a distruggerlo. Venezia impone una sfida continua per mantenere il ‘corpo‘ del suo passato non come reliquia ma come luogo vitale, e allo stesso tempo per sviluppare la città e le sue potenzialità. Perché si sa che per stare nella storia, bisogna andare con essa. Se ci si ferma si perde la propria utopia; un museo è come una lettera morta, bello da vedere ma senza più il pulsare di chi insegue un ideale.
Le opere di Calandre ci ricordano la meraviglia che incarna ancora Venezia nell’immaginario dell’arte; i colori tenui, che tendono a confondersi con lo sfondo di acqua e aria, ci riportano però al mito di Avalon e al pericolo, che tale fragile meraviglia possa sparire nella nebbia come l’isola britannica.